Mariscuola Mariposa
In via San Prosdocimo c'erano questi tavoli in rovere massicci e regali.
Ti ho immaginato salire quelle scale, piccole e basse, mille volte, tutte le volte che avresti voluto dei chiarimenti. Tu, che hai fatto la scuola delle evidenze: basta uno sguardo per capire una persona, ma al telefono non si può fare.
Abbiamo affinato gli studi sul tono della voce, sulla velocità di respiro, sulla deglutizione.
E' una finezza sottile, quella di andare oltre le immagini, come se il mondo fosse vivo di molecole palesi sotto gli occhi di tutti. Ma no, non è così, noi le vediamo. Invece.
La signora mi osserva, sembra veramente dispiaciuta e io passo in via Savonarola, entro in una piccola bottega, spalanco gli occhi. Una vera miniera di antichità, sublimi.
Mi appoggio con lo sguardo a tutto ciò che vedo ed esco con la Santa Maria, che ho ancora incartata perché ho quasi paura di romperla. Ho immaginato i tuoi passi, verso l'Amerigo Vespucci che tanto ti ricordava la Mariscuola, tu che eri stato proprio su quello vero. Sono passati cinque anni.
Ce l'abbiamo ancora da qualche parte, il primo è volato giù da una finestra di Catania, il secondo è rimasto in una taverna polverosa e ammuffita, pieno di ragnatele, forse anche eroso dal dispiacere. Dicevi che l'avresti finito, prima o poi, ma io sempre in posti angusti l'ho visto quel modellino.
Non voglio fare così della mia vita. Ti ricordi? Eravamo su quella panchina, a Montmartre. Tu mi parlavi col cuore in mano, io ero sfinita dal lavoro massacrante che mi distruggeva fisicamente, la mia mente era pallida e confusa, tu vecchio e pieno di energie. Come fai? Come facevi? E' ancora così anche se sei morto.
Poi ti sono caduti gli occhiali, hai perso una vite, non ci vedevi, e abbiamo cercato un negozio per aggiustarli. Non ci siamo riusciti. Chissà cosa hai visto di Parigi quel giorno.
Il tenente mi scrive un messaggio su whatsapp, ci invita alla commemorazione, alla messa degli ufficiali in congedo. E la sua omelia è tutta un attacco politico, ma con i coglioni, perché ogni tanto qualche parolaccia serve per rafforzare il verbo. Tutti applaudono. Ha ragione. Il valore non è direttamente proporzionale alla corruzione.
Non farmi arrabbiare, dicevi, che poi mi viene la fibrillazione.
E invece quei giorni, dovevo proprio farti arrabbiare, impuntarmi senza farmi distrarre, ti ho immaginato capace come sempre, invincibile, uno che sa il fatto suo. E ho sbagliato. Un errore imperdonabile, pensare a non farti battere il cuore mentre ti mancava il respiro.
La tensione tra il rispetto per la fragilità e il bisogno di insistere, di non lasciarsi influenzare. L’errore di pensare di proteggere, quando invece si trattava di affrontare la realtà.
Mai paura Valentina, mai paura. Lo hai detto con una voce flebile. Ho avuto paura. Tu avevi paura, ma non sembrava. Bianco come il muro. Indifeso come un cane maltrattato. Con i capelli lunghi, si arricciavano, non ti piacevano. Il viso smunto. Il terrore negli occhi.
La paura ti fa prendere decisioni sbagliate. Non devi mai avere paura. Mai, qualunque cosa accada. Bastano tre respiri profondi per riportare il cuore a battere come si deve. Bisogna allenarsi. E' facile se sai come fare. Tutto puoi fare, se lo vuoi davvero fare. Guardati in faccia, guardati negli occhi, fissati per bene e decidi: io posso, io so, io voglio, io farò, io sarò ciò che desidero.
Con una mariposa nel petto.
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